Four Legged Human (2019)
• Incontri con il lupo
alcuni appunti su: presenza, legami sociali interspecie e
antiaddomesticamento
Formato 13×13, 50 pagine.
Introduzione
C’era una volta il lupo, così si sarebbe quasi potuto dire in Italia intorno agli anni ‘70 dello scorso secolo. Escluse alcune nicchie dell’Appennino lucano, il lupo era praticamente estinto dopo secoli di lotte a suon di fucile con gli uomini, terrorizzati dalla sua presenza “invasiva” che costava loro, in special modo, dure perdite tra il bestiame e paure recondite anche per la propria incolumità. Poi per vari fattori, tra i quali lo spopolamento delle zone montane e la creazione dei Parchi Nazionali, il lupo lentamente torna e risale la colonna vertebrale montana italica fino alle Alpi orientali dove rincontra i suoi parenti balcanici come a richiudere un cerchio che legittima la sua presenza e la sua incredibile resilienza e tenacità nel sopravvivere in un era di domino umano incontrastato, chiamata da alcuni per l’appunto Antropocene.
Sembra una storia a lieto fine, ma forse lo è solo dal punto di vista materialista, nel senso cioè che le popolazioni di lupi sono tornate e sono sane e in espansione. Ma dal punto di vista spirituale la lotta interiore infinta tra uomini e lupi non sembra essersi mai estinta.
Col ritorno del lupo tornano anche le paure, le uccisioni di bestiame e con queste le richieste di abbattimento e le teorie di sterminio del predatore da parte soprattutto di allevatori e da una parte delle popolazioni locali. Dall’altro lato si ergono le associazioni ambientaliste, animaliste e un’altra parte della popolazione, soprattutto quella urbana, che ne chiede la salvaguardia, la protezione e il mantenimento del divieto di cacciare i lupi, cosa che, fino al momento in cui queste parole vengono alla stampa, è la situazione attuale dal punto di vista legislativo italiano. Il lupo è una specie protetta.
In mezzo a ciò, dibattiti, proclami, campagne, manifesti e quant’altro oggigiorno ci si può aspettare dalla comunicazione tecnologica via rete.
Quindi, da che parte stare? Come al solito la dialettica democratica non lascia scelta se non quella di decidere tra due opzioni, entrambe già ben stabilite, entrambe con un sottofondo di ideologie, luoghi comuni e, in un certo senso, una distanza dalla realtà che non sia quella della vita moderna civilizzata, quella rurale da un lato e quella intellettuale urbana dall’altro.
Generalizzando e semplificando in modo drastico le due opzioni, si potrebbe rispondere a questo dubbio esprimendo un sentimento, o un giudizio se può sembrare più onesto, verso ciascuna delle due categorie più significative in questo dibattito, allevatori da un lato e ambientalisti dall’altro. Potrei dire di questi ultimi che a tratti mi fanno un po’ ridere quando ascolto la loro visione della realtà piena di concetti, paroloni, idee e schemi squadrati e impeccabili e, potrei dire degli altri, che almeno alcuni tra di loro mi fanno veramente paura. Cerco di spiegare meglio. Il timore che provo verso alcuni allevatori che odiano il lupo come fosse il pericolo pubblico numero uno, e forse per loro lo è, risiede nel vedere nei loro sguardi e nel loro digrignare i denti l’emblema dell’ideologia antropocentrica della civiltà, l’emblema della lotta perenne verso lo stato selvatico, colpevole di volersi riprendere spazi che gli sono propri interferendo così nelle attività umane e violando tra le altre cose la sacra proprietà privata, fatta di recinzioni elettriche e spi- nate all’interno della quale si vorrebbe sempre di più il diritto di poter sparare a qualsivoglia intruso, animali selvatici e persino quelli umani. Forse per chi guarda la realtà con una critica radicale alla civiltà questa potrebbe sembrare la storia di sempre, la storia della civiltà per l’appunto, ma guardarla dritta ed esplicita negli occhi di qualcuno e non vederla “solamente” celata in gesti e abitudini quotidiane dei più è comunque sempre terrificante.
Andiamo ora dall’altra parte, dai paladini della giustizia e delle leggi, dei parchi nazionali e delle riserve ecologiche, gli spazi destinati dalle istituzioni politiche sostenute spesso da questi ambientalisti e animalisti che vivono di solito comodamente nelle moderne aree urbane del paese, alla fauna selvatica, protetta e coccolata come si fa con la prole umana civilizzata, tenuta ben protetta e controllata, monitorata, idealizzata e infantilizzata.
Forse qualcuno qui potrebbe dire che sto eccedendo nella critica, ma di fatto il proposito è quello. In una realtà sempre più destabilizzante e confusa non ci si può accontentare di scegliere una fazione e diventarne partigiani (“militonti” potrebbe essere la parola più azzeccata e simpatica), quindi l’esagerazione serve a portare in superficie qualcosa che giace più nel profondo.
Viviamo nel bel mezzo di un mare di paradossi che ci circondano da tutti i punti cardinali come onde durante una tempesta, e quando si vuole andare alla radice dei mali della civiltà e tornare a comprendere che cosa possa essere una vita al di fuori di essa, si deve mettere in previsione di doverne cavalcare centinaia di queste onde per dare una scorsa a cosa si cela al di la di esse.
Affrontiamo alcuni di questi paradossi dunque.
Non c’è dubbio, l’istituzione dei Parchi Nazionali e le leggi di salvaguardia della fauna selvatica e le restrizioni venatorie hanno allentato la pressione che la società moderna attua nei confronti della natura selvatica o di ciò che ne resta. È molto facile quindi prenderne le difese quando dall’altra parte esiste solo chi vorrebbe farne tabula rasa. E di fatto, finché ero un abitante della città, pur con idee radicali ed ecologiste, potevo sostenere queste cause anche se con moltissime riserve, visto che leggi e istituzioni poco si addicono a una persona che di base non vuole né le une, né le altre.
Ma come ho abbandonato la città spostandomi in aree tendenzialmente più “selvatiche”, mi sono reso conto di come le conseguenze di parchi nazionali, leggi di salvaguardia, divieti e quant’altro, abbiano un impatto molto determinante nella vita di chi desidera più autonomia e indipendenza dal sistema di produzione e distribuzione della società di massa. Ma teniamo i dettagli di queste conseguenze per un’altra discussione.
Torniamo al lupo.
Il fatto che il lupo quindi, anche grazie a queste misure, popoli le zone circostanti nelle quali vivo mi dà un senso di “sicurezza”, mi fa sentire più a casa, più vicino a quel mondo selvatico che credo debba essere la nostra fonte di vita. Quando ho sentito per la prima volta degli ululati è stato come fare un salto in un’altra dimensione e ho compreso in un istante quello che qualcuno ha chiamato “il richiamo della foresta”. Difficile da spiegare a parole ed è questo che gli dona quindi molto valore.
Il nostro rapporto con i lupi è qualcosa di fondamentale, un rapporto che ci riporta a un passato lontano, a quando, in qualche maniera, il nostro rapporto ha avuto origine, un legame tra due predatori ai vertici della catena alimentare, due sguardi che hanno saputo comunicare in una maniera che forse non ha eguali nei rapporti tra differenti specie.
Più che una presa di posizione a questo dibattito, vorrei poter lasciare qualcos’altro, come un’ispirazione, nata da due sguardi che si incontrano, quello verso le altre popolazioni umane indigene e quello dell’esperienza personale fin qui ammonticchiata osservando la natura selvatica e le genti che nel bene e nel male le ruotano attorno.
Facendo una summa si può dire che in moltissime di queste altre popolazioni uccidere un lupo non è affatto un tabù, in alcune di queste è persino selvaggina, ma l’idea di voler sterminare tutti gli esemplari o anche semplicemente l’idea di una caccia preventiva è considerata folle e senza senso. Ogni animale ha un suo posto negli ecosistemi, noi compresi. Lancio questa come riflessione sulla “questione” lupo, cercando di utilizzarla più come una guida spirituale emotiva, che come un’espressione materiale di come dovrebbero andare le cose.
Lascio questa ispirazione per quegli ambientalisti e animalisti che hanno una visione di sacralità della vita animale distorta e ipercivilizzata e a chi imbraccia un fucile pronto a sparare a un lupo vorrei dire: fatelo solo in caso di necessità e provate a guardare queste splendide creature negli occhi anche solo per un istante e cercate di capire in quello sguardo cosa significhi vivere e condividere questa terra con la diversità selvatica. Cercate di capire perché quel particolare lupo (o quel branco) si aggira nei vostri paraggi, imparate a conoscerlo prima che a temerlo. Badate con cura il vostro bestiame se ne avete. Mettetevi nell’ottica che esistono ancora animali selvatici predatori come lupi, volpi, rapaci, orsi e molti altri. Imparate a mettere in previsione qualche perdita, la sicurezza materiale ed economica è un’illusione della nostra civiltà, le uniche sicurezze che abbiamo risiedono nelle nostre consapevolezze e nel nostro sapere, due cose che ci permettono di adattarci e sopravvivere nelle più svariate situazioni a prescindere da quello che ci può accadere, e, se si scava a fondo, sono queste due delle caratteristiche principali della specie umana. Se avete bestiame, create reti di solidarietà tra vicini per sostenere eventuali perdite e per la prevenzione più che entrare nell’ottica dei risarcimenti statali.
Ogni tanto quando vi capita di avere degli scarti animali, ossa, grasso, carne o quant’altro, fatevi una camminata nei boschi, uscite un po’ dai vostri confini e trovate un posto dove lasciarli come dono per lupi, volpi e tanti altri. Imparate non solo a prendere ma anche a lasciare. Oltre ad essere un modo di lasciare effettivamente qualcosa in più da mangiare ad altre specie selvatiche, questi gesti servono anche per ricostruire quel ponte spirituale tra noi e lo stato selvatico che tanto è caduto in rovina in millenni di addomesticamento.
Queste non troppe parole sono per introdurre questo scritto di Four Legged Human tratto da Wild Resistance #6 (nuovo nome della rivista americana Black And Green Review). Quando ho letto questo testo per la prima volta ne sono rimasto immediatamente affascinato, sia per i racconti in sé sia per le riflessioni dell’autore sui lupi e sui suoi discendenti addomesticati, i cani.
Vi lascio alla lettura senza ulteriori divagazioni.
Hirundo, primavera 2019