Immunità dei Nativi

Da diverso tempo riflettevo sulla teoria del contagio, su come si diffondano malattie ed epidemie e, diffidando dalle teorie dominanti che tanto vengono propagandate dalla medicina, dallo Stato e dai media, ho sempre creduto che una persona che cura la sua alimentazione e il suo modo di vivere e magari non viva e lavori in posti avvelenati e avvelenanti abbia buone probabilità di non ammalarsi o di ammalarsi lievemente persino quando è confrontata a malattie virulente. Mi mancava solo un tassello, non riuscivo a spiegarmi lo sterminio dei popoli nativi a causa della diffusione di epidemie portate dagli europei durante i periodi storici del colonialismo dei “nuovi mondi”. Pensavo che queste popolazioni fossero sane e in forma, mangiassero bene e non fossero avvelenate dalle nocività già allora presenti in Europa. Questo articolo di Sally Fallon spiega molte cose a riguardo, potrebbe essere l’inizio di un’indagine che dovremmo spingerci a compiere visto i tempi “pestilenziali” in cui viviamo e ripensare radicalmente al modo in cui viviamo, mangiamo e ci curiamo.

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Immunità dei Nativi
Sally Fallon Morell

tratto da: https://nourishingtraditions.com

Ho creduto a lungo che i popoli nativi – nelle Americhe, in Africa e nei Mari del Sud – iniziarono a soffrire per le malattie infettive non appena entrarono in contatto con i coloni europei. Eppure, in molti mi hanno chiesto come possano persone così sane soccombere alle malattie così rapidamente.

La mia risposta – non proprio delle migliori – è stata che nelle culture tradizionali che non avevano avuto contatto con le malattie infettive, le persone non avevano avuto la necessità di erigere un sistema immunitario forte durante la crescita, così che la loro dieta ricca di cibi nutrienti era tutta veicolata a costruire un corpo forte, una vista pronunciata e un buon udito; e teorizzai che non avendo mai consumato zucchero e pertanto non avendo bisogno di un pancreas sovralimentato che producesse molta insulina, queste persone erano più vulnerabili agli effetti dello zucchero quando lo consumavano. Ora ritengo che questa spiegazione sia soltanto un’altra versione degli argomenti sull’“inadeguatezza immunologica” e la “mancanza di resistenza genetica” che permettono a dottori e funzionari della sanità pubblica di ignorare la causa principale della malattia, sia nel vecchio che nel nuovo mondo: la malnutrizione.

Recentemente ho appreso che i popoli nativi non contrassero le malattie infettive appena vennero in contatto con gli europei. Per esempio, i pescatori e i primi esploratori visitarono le acque del nordest della costa Atlantica tra il XV e il XVI secolo ma non abbiamo testimonianze storiche sull’esistenza di malattie o epidemie tra le popolazioni aborigene durante quel periodo. Secondo Raymond Obomsawin, nella sua ricerca Historical and Scientific Perspectives on the Health of Canada’s first Peoples (Prospettive storiche e scientifiche sulla salute dei primi popoli del Canada, 2007), “poiché lo scopo principale di questo primo contatto era lo sfruttamento commerciale delle risorse naturali, qualsiasi prova visibile della debolezza fisica o della malattia degli abitanti indigeni avrebbero sicuramente suscitato un vivo interesse.” Invece in questi primi rapporti ci si meravigliava della buona salute e della solida costituzione dei nativi americani.

Obomsawin fa notare che i primi focolai registrati di malattie infettive tra i nativi americani che vivevano nelle valli di Ottawa si verificarono tra il 1734 e il 1741. Champlain stabilì il primo insediamento europeo in Quebec sul fiume San Lorenzo più di cento anni prima, nel 1608, e non fu prima del 1800 che il vaiolo, il morbillo, l’influenza, la dissenteria, la difterite, il tifo, la febbre gialla, la pertosse, la tubercolosi, la sifilide e varie altre “febbri” si diffusero tra la popolazione aborigena.

A metà del XVIII secolo, la vita dei nativi americani aveva subito gravi sconvolgimenti. Come risultato di una cattura intensiva, le popolazioni di selvaggina si erano ridotte, compromettendo gravemente la disponibilità di cibo e pelli per produrre abbigliamento e calzature. Durante questo periodo lo zucchero, la farina bianca, il caffè, il tè e l’alcool arrivarono sulle navi mercantili, che i coloni utilizzarono come merci di scambio con le pellicce degli indiani.

Lo stesso schema si riprodusse sulla costa occidentale, dove la pesca del salmone si esaurì notevolmente a metà dell’Ottocento. Questi popoli del nord-ovest parlavano di “barche della malattia” o di “canoe della pestilenza”, chiamando così le navi marittime spagnole e britanniche che arrivavano con sempre più frequenza. Portarono il vaiolo, ma anche i cibi che li resero vulnerabili al vaiolo. Una nave da carico a vela dell’epoca da 30 metri poteva trasportare fino a 360 tonnellate di “beni“, o forse dovremmo dire di “mali“.

I popoli tribali che dipendevano in larga misura dal bufalo non furono colpiti dalle malattie fino agli inizi degli anni ‘70 dell’Ottocento, quando questi animali furono depredati attraverso lo sfruttamento e le campagne volte a uccidere le mandrie da cui i nativi dipendevano.

Secondo un rapporto del governo canadese, La trasformazione degli aborigeni dallo stato di buona salute che aveva impressionato i viaggiatori europei a uno di cattiva salute. . . peggiorò man mano che le fonti di cibo e di vestiario ottenibili dal territorio venivano meno provocando il collasso delle economie tradizionali. E peggiorò ancora da che questi popoli nomadi furono confinati in piccoli appezzamenti di terra dove le risorse e le opportunità per un’igiene naturale erano limitate. E peggiorò ulteriormente quando le loro regole, valori, sistemi sociali e pratiche spirituali di lunga durata furono minate o messe fuorilegge.”

Per quanto riguarda la colonia di Plymouth, i pellegrini non furono i primi europei nella zona. I pescatori europei avevano navigato al largo delle coste del New England, avendo numerosi contatti con i nativi americani, per gran parte del XVI e XVII secolo, e il commercio di pelli di castoro iniziò nei primi anni del Seicento, prima dell’arrivo dei pellegrini nel 1620.

Nel 1605, il francese Samuel de Champlain fece una vasta e dettagliata mappa della zona e delle terre circostanti, mostrando il villaggio di Patuxet (dove fu successivamente costruita la città di Plymouth) come un fiorente insediamento.

Nel 1617-1618, poco prima dell’arrivo del Mayflower, una misteriosa epidemia spazzò via all’incica il 90 percento della popolazione indiana lungo la costa del Massachusetts. I libri di storia danno la colpa all’epidemia di vaiolo, ma una recente analisi ha concluso che potrebbe essere stata una malattia chiamata leptospirosi. (Ancora oggi, la leptospirosi uccide quasi sessantamila persone all’anno.)

Sia gli animali selvatici sia quelli domestici possono trasmettere la leptospirosi attraverso l’urina e altri liquidi; i roditori sono il vettore più comune e il castoro è un roditore. Durante la primavera, i castori, maschi e femmine, secernono una sostanza appiccicosa e pungente chiamata castoreo per attirare altri castori, spesso depositandola in piccoli “cumuli odorosi” vicino alle piste che conducono alle loro tane. I cacciatori di pellicce utilizzavano il castoreo per profumare le trappole in modo da catturare i castori. Vendevano addirittura il castoreo agli europei, che lo apprezzavano come base per profumi floreali. Forse questo primo caso di malattia era una specie di vendetta dei castori, diffusa dall’organismo leptospirosi nel loro castoreo: ricompensa per lo sfruttamento della loro specie, per averli cacciati quasi fino allo sterminio!

Comunque, il punto è che le malattie infettive che hanno causato così tanta sofferenza non sono arrivate che dopo un periodo di declino nutrizionale, nel quale la paura e la disperazione quasi sicuramente hanno svolto un ruolo importante. Quando la malattia scoppiava in un villaggio, gli afflitti si trovavano spesso abbandonati da chi era ancora sano, quindi non avevano nessuno che si prendesse cura di loro. Incapaci di procurarsi l’acqua da soli, in genere morivano di sete. Ciò potrebbe spiegare perché i tassi di mortalità durante le epidemie erano molto più alti per i nativi americani (in genere il 90 percento) rispetto agli europei (in genere il 30 percento).

Questo non vuol dire che l’esposizione a nuovi microrganismi non abbia un ruolo nel causare epidemie di malattie infettive, ma è improbabile che questi nuovi organismi causino malattie in individui ben nutriti e con un forte sistema immunitario.

Veniamo ad oggi. Abbiamo una popolazione di bambini estremamente malnutriti. Sia la cattiva alimentazione, sia la pratica della vaccinazione possono indebolire il sistema immunitario. (Vedi il libro di Tom Cowan per una spiegazione di come le vaccinazioni deprimono piuttosto che migliorare il sistema immunitario.) E grazie alle vaccinazioni, stiamo anche assistendo all’emergere di nuove e più virulenti forme di malattie come il morbillo e la pertosse. Il dottor Cowan e molti altri prevedono una recrudescenza di enormi epidemie, focolai di malattie infettive contro le quali la medicina moderna sarà impotente. Cari genitori, per favore, cercate di essere preveggenti e proteggete i vostri figli in anticipo: date loro da mangiare cibi ricchi di nutrienti, in particolare cibi ricchi di attivatori liposolubili1, e dite semplicemente No ai vaccini.

1 Ndt. Secondo il Dr. Price, erano proprio le vitamine liposolubili, gli elementi nutritivi più preziosi delle diete degli indigeni. Li chiamò “attivatori”, perché erano fondamentali per assimilare tutti gli altri elementi presenti nei cibi, come vitamine e minerali. “È possibile soffrire di gravi carenze di minerali anche se questi sono abbondantemente presenti negli alimenti, perché senza i fattori di attivazione liposolubili non possono essere utilizzati”. I cibi che forsniscono all’uomo questi preziosi “attivatori liposolubili” si trovano nel burro, nelle uova, nelle frattaglie, nel pesce e nei grassi animali, tipo il lardo. Come si vede, per la gran parte, si tratta di cibi che in questi decenni sono stati, a torto, demonizzati per il loro contenuto di colesterolo e di grassi saturi. Oltre alle due vitamine liposolubili già allora conosciute, la vitamina A e la D, nella diete native il Dr. Price ne aveva anche individuata un’altra che chiamò “Fattore X” ora riconosciuta come vitamina K2. Un fattore/attivatore estremamente potente nel catalizzare l’assorbimento intestinale dei minerali. Si trovano in alcuni cibi che i “nativi” consideravano sacri, come diversi organi animali, soprattutto il fegato, l’olio e le uova dei pesci, il burro prodotto con latte di mucche che avevano pascolato in primavera e autunno mangiando esclusivamente erba a rapida crescita. Questo fattore salutare, sarebbe praticamente scomparso dai cibi moderni industriali.

• Sally Fallon Morell è conosciuta in quanto autrice di Nourishing Traditions: The Cookbook that Challenges Politically Correct Nutrition and the Diet Dictocrats. Questa guida ben studiata e stimolante ai cibi tradizionali contiene un messaggio sorprendente: i grassi animali e il colesterolo non sono cattivi ma fattori vitali nella dieta, necessari per la normale crescita, il corretto funzionamento del cervello e del sistema nervoso, protezione dalle malattie e ottimale livelli di energia.
L’interesse di Sally per il tema della nutrizione è iniziato nei primi anni ’70 quando ha letto Nutrition and Physical Degeneration di Weston A. Price.
Sally Fallon Morell è presidente fondatrice della Weston A. Price Foundation e direttrice della rivista trimestrale della Fondazione.